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Gli archetipi - i modelli ricorrenti nelle narrazioni
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- Eleonora Simeone
I modelli ricorrenti nelle narrazioni
In un articolo passato - che trovi qui - si è vista l’utilità del viaggio dell’eroe. Adesso, invece, vorrei soffermarmi su un altro aspetto delineato da Vogler in materia di storytelling: gli archetipi narrativi.
Trovo che gli archetipi siano un argomento affascinante e di grande interesse. La complessità delle sfaccettature umane non può certo essere contenuta in descrizioni discrete, ma sapere che i personaggi delle nostre storie possano rientrare in determinate categorie che ne descrivono predisposizioni, peculiarità e attitudini rende la scrittura e la lettura ancora più emozionanti.
Nel mondo dello storytelling, Vogler individua i principali archetipi più o meno sempre presenti all’interno delle narrazioni e che possiamo sfruttare per dare un impianto preciso alla storia. Vediamoli insieme.
L’eroe
L’eroe è il protagonista della storia. Il termine è riconducibile al greco antico con il significato di proteggere e servire. Stando alla definizione di Vogler, l’archetipo dell’eroe rappresenta l’Io freudiano, ovvero quella parte della personalità distinta dal resto dell’umanità. Sotto l’aspetto drammaturgico è colui che dà inizio alla narrazione, il protagonista verso cui lo spettatore si identifica e di cui assume il punto di vista. L’identificazione è resa possibile grazie alle qualità e alle caratteristiche dell’eroe. Queste, infatti, sono universalmente condivisibili, poiché appartengono all’essere umano e sono impulsi conosciuti, di solito, da chiunque.
Prendendo a modello un personaggio principale di una storia qualsiasi, noteremo che i suoi bisogni, desideri, emozioni, aspirazioni, impulsi sono quelli dell’essere umano di sempre, sono universali. Con questo non si vuole incoraggiare a rendere un personaggio uguale all’altro, bensì, a renderlo verosimile. Ogni protagonista di una storia dovrebbe essere unico, con delle caratteristiche peculiari che lo discostano dal protagonista di un’altra narrazione. Tutti, comunque, dovrebbero fare in modo da facilitare l’identificazione del lettore/spettatore.
Delineando la figura dell’eroe, dovremmo fare attenzione alla sua caratterizzazione: un personaggio completamente fuori dagli schemi può colpire, ma allo stesso tempo può rendere l’identificazione di chi ascolta/legge/osserva più complicata. Chi fruisce della storia vuole un personaggio autentico, che sperimenti sia il bene sia il male, un personaggio a tutto tondo, non stereotipato: non privo di difetti né di pregi. L’eroe è una mescolanza di emozioni, sensazioni, impulsi che ogni persona può aver provato e manifestato nella vita, ma in una combinazione originale.
Ci si aspetta che l’eroe compia un percorso di crescita, oppure che impari qualcosa. Se il personaggio principale di una narrazione rimane immutato dall’inizio alla fine, senza aver imparato niente, senza aver acquisito saggezza e conoscenza, allora non è un buon personaggio.
Ci si aspetta che l’eroe si dia all’azione, compia qualcosa. L’aspetto attivo dell’eroe è quello che caratterizza solitamente tutte le narrazioni: grazie a lui la storia va avanti. L’eroe tende al sacrificio: sacrifica se stesso ed è disposto ad assumersi il rischio in una situazione critica, indipendentemente dal risultato. Nella maggior parte delle storie, infatti, la minaccia è rappresentata dalla morte, reale o figurata che sia, e il protagonista si troverà, a un certo punto, a doverla fronteggiare.
Tracciando il profilo del nostro eroe, dovremmo assicurarci di renderlo non privo di difetti. Le irregolarità, i vizi ed altre particolarità rendono il personaggio più umano, facilitando quindi l’immedesimazione da parte del fruitore. Se fosse un eroe senza alcun aspetto negativo o bizzarro, non colpirebbe quanto uno con una qualche forma di imperfezione.
Non esiste un solo tipo di eroe, ma molteplici. In fin dei conti, si tratta di personaggi sfaccettati e complessi, per cui è lecito supporre che possa non esserci un solo archetipo che soddisfi tutta la categoria. Può esistere un eroe solitario, uno invece con le doti da leader e più socievole. Esistono eroi privi di morale, eroi riluttanti, tragici, comici, pavidi. Possiamo generalizzare ulteriormente, suddividendo i tipi di eroi in due macro categorie: gli eroi determinati e gli eroi riluttanti. I primi sono entusiasti, non temono il pericolo e sono incredibilmente motivati all’avventura; i secondi sono dubbiosi, esitanti e vengono spinti all’avventura da forze esterne.
Possono esistere anche eroi non convenzionali. Si chiamano antieroi e sono dei personaggi negativi ma verso cui lo spettatore prova empatia. Di solito gli antieroi sono degli outsider, dei fuorilegge, dei disadattati, privi di morale o tormentati; possono essere dei furfanti e dei banditi, dei ribelli che il pubblico ama proprio per il loro anticonformismo. Oppure, un antieroe è anche l’eroe tragico le cui azioni possono non essere ammirate. In questo caso, egli non è in grado di sopraffare i difetti e i tormenti interiori e rimane sconfitto.
È possibile che un eroe compia pochissimi cambiamenti all’interno di una storia. Di solito questo accade nelle narrazioni seriali, in cui il protagonista subisce crescite anche molto lente e quasi impercettibili, ma questo perché il suo compito è catalizzare gli altri personaggi. Sono detti, infatti, eroi catalizzatori. Costoro intervengono per aiutare gli altri nella loro crescita personale. Si dovrebbe comunque dare la possibilità di crescita e maturazione anche a questo tipo di eroe, altrimenti si rischia di farlo risultare troppo piatto e poco credibile.
Un’ultima distinzione tra le tipologie di eroi riguarda il loro atteggiamento nei confronti della società: alcuni sono dei solitari, altri sono orientati al gruppo. I primi sono di solito lontani dalla società nella prima fase della narrazione e il loro viaggio corrisponde a un rientro in essa, nella fase centrale, per poi tornare all’isolamento in conclusione. Invece, gli eroi orientati al gruppo si trovano in una società, in una città, villaggio, tribù o gruppo e il loro viaggio consiste nell’uscita da questo nucleo, per farvi rientro soltanto alla fine della storia.
Il mentore
Il mentore è colui che forma, educa o aiuta l’eroe. È una figura positiva presente in molte narrazioni in cui il protagonista deve essere educato o deve compiere un cammino, fisico o interiore, complicato. I mentori più celebri sono, ad esempio, Mago Merlino della letteratura arturiana, Albus Silente in Harry Potter, Gandalf ne Il signore degli anelli, Obi-Wan Kenobi in Star Wars, la Fata Smemorina in Cenerentola e Nonna Salice in Pocahontas.
Come si può notare, di solito, i mentori sono figure anziane - non sempre, si pensi alla fata Turchina di Pinocchio - e sempre dotate di saggezza e lungimiranza. Vogler sostiene che essi rappresentino «Il Sé, il dio dentro di noi, l’aspetto della personalità legato a tutte le cose». È un archetipo strettamente ricollegabile alla figura genitoriale, in quanto funge da modello positivo per l’eroe. Spesso, infatti, gli eroi si ritrovano con dei genitori inadeguati oppure addirittura assenti, perciò il loro ruolo viene sostituito da quello del mentore.
Vladimir Propp identifica la funzione del mentore con la figura del donatore, poiché oltre a educare, insegnare e istruire, un mentore può anche donare qualcosa. Il mentore può donare, al momento opportuno, qualcosa di utile allo sviluppo dell’eroe. E questo qualcosa può essere: un oggetto, come la spada laser che Obi-Wan dona a Luke; di una qualità, come i doni che le fatine de La Bella addormentata nel bosco fanno ad Aurora: beltà e canto; oppure di un potere, come quelli che i campioni in The Legend of Zelda: Breath of the Wild donano al protagonista Link. Non sempre i doni vengono immediatamente dati all’eroe, ma solo dopo il conseguimento di una prova difficile, sottolineando la necessità di doverseli guadagnare.
Anche in questo caso, esistono più sottotipi di mentore. Possiamo trovare dei mentori determinati all’educazione dell’eroe, come Mago Merlino, il quale si fa carico di insegnare ad Artù le basi del sapere umano, oppure possono esistere mentori piuttosto riluttanti, come Haymitch, ex vincitore degli Hunger Games, dell’omonima saga, il quale a fatica istruisce ai terribili giochi i protagonisti Katniss e Peeta.
Si possono trovare anche mentori negativi, detti anche antimentori, come Rick della serie Rick e Morty, scienziato pazzo, privo di scrupoli e senza morale, cinico ed egoista che coinvolge nei suoi assurdi piani il nipote adolescente. Gli antimentori guidano l’eroe sulla cattiva strada.
Un mentore può anche aver bisogno dell’eroe perché possa essere aiutato: Aku, ne La città incantata, ha bisogno dell’aiuto della protagonista Sen, per salvarsi, nonostante sia egli a tutti gli effetti il suo mentore.
Esistono anche i mentori comici, come il draghetto Mushu in Mulan. Più spesso sono dello stesso sesso dell’eroe e servono per fargli capire come comportarsi in amore: è il caso di Lumier e Tockins ne La Bella e la Bestia, i quali aiutano il principe trasformato in bestia a comportarsi bene con Belle per farla innamorare di lui. Oppure in Notting Hill, il coinquilino del protagonista Will, Spike, dispensa consigli su come conquistare Anna.
Esiste, poi, una tra le figure più archetipiche del mentore: lo sciamano, colui in grado di guarire, dotato di infinita saggezza e di poteri sovrannaturali, legato ad un mondo arcaico. Ne sono esempi Nonna Salice in Pocahontas e Rafiki ne Il re leone.
Infine, trattandosi più di una funzione che non di una tipologia di personaggi fissa, è possibile che l’eroe non abbia un mentore esterno, ma abbia egli stesso interiorizzato tutte quelle caratteristiche tali per cui non ne abbia bisogno. Sherlock Holmes è protagonista e mentore di sé stesso.
Il guardiano della soglia
Il guardiano della soglia, così definito da Vogler, indica non l’antagonista principale, quanto piuttosto un ostacolo, un aiutante dell’antagonista, non necessariamente cattivo, ma che ostacola l’eroe durante il viaggio. Questo archetipo è chiamato guardiano proprio perché rappresenta una delle prime difficoltà che l’eroe incontrerà nel suo cammino. I guardiani rappresentano le nevrosi verso cui ci si scontra quotidianamente.
Gli ostacoli possono essere la sfortuna, i pregiudizi, il cattivo tempo, ecc. e spesso indicano le nostre paure celate, i nostri demoni interiori. Lo scopo della funzione di guardiano è mettere alla prova l’eroe per testarne il valore. Nelle storie i guardiani possono assumere le più disparate forme: guardie, sentinelle, buttafuori, sorveglianti, portinai, ecc.. I guardiani possono addirittura essere elementi architettonici che impediscono all’eroe di proseguire il cammino, come un baratro, un fiume, una foresta intricata.
I messaggeri sono coloro che recapitano messaggi all’eroe. I messaggi in questione possono essere delle nuove sfide da affrontare e di solito preludono al cambiamento. Anche in questo caso il messaggero può essere una persona fisica specifica, oppure un oggetto che assolve a tale funzione. Lo scopo del messaggero, in una narrazione, è sottolineare la necessità del cambiamento. Grazie alla chiamata l’eroe dà avvio al proprio viaggio. Un messaggero avvisa il protagonista della storia che il cambiamento è imminente.
Esistono messaggeri di vario tipo: possono essere gli stessi antagonisti a sfidare apertamente l’eroe, o chi per lui, come un guardiano, un aiutante, ecc., oppure possono essere figure neutrali, come il mitologico messaggero Ermes/Mercurio. Possono essere anche figure positive.
Lo shapeshifter
Lo shapeshifter è una funzione interessante che ciascun personaggio all’interno della storia può assumere. Si tratta di una figura ambigua, mutevole ed enigmatica, che mai si svela ma sempre si trasforma in qualcos’altro. Di solito, lo shapeshifter è un personaggio del sesso opposto al protagonista ed è pronto a instillare in lui dubbio perpetuo. Vogler sostiene che questo archetipo costituisca allo stesso tempo l’Animus e l’Anima definiti da Jung. Mentre l’Anima è la parte femminile dell’animo maschile, viceversa, l’Animus è la componente maschile nel pensiero femminile. Si tratta delle parti represse del nostro inconscio, un lato fuorviante ma allo stesso tempo intrigante.
Gli shapeshifter tendono per loro natura a cambiare aspetto, atteggiamento, direzione e pensiero, tanto da far continuamente dubitare l’eroe circa la loro condotta. L’eroe non sa se può fidarsi di loro, poiché un momento prima uno shapeshifter si mostra positivo, mentre un minuto dopo negativo. Un esempio di shapeshifter è Severus Piton nella saga di Harry Potter: la sua condotta è talmente ambigua che fino alla fine non siamo certi se voglia salvare o meno l’eroe. La funzione drammaturgica di questo archetipo è provocare suspense alla storia, attraverso i dubbi instillati.
Si potrebbe parlare come di una sorta di maschera indossata potenzialmente da qualunque personaggio a seconda della circostanza. Anche un eroe, infatti, in determinate situazioni, può apparire mutevole e ambiguo per ingannare l’antagonista. Celebre esempio Odisseo nei confronti di Polifemo.
L’ombra
L’ombra è l’antagonista della storia, il nemico dell’eroe. È definito ombra perché è un archetipo che rappresenta il lato oscuro, la forza che ostacola l’eroe, l’ombra dei desideri irrealizzati, delle paure e dei tormenti.
Spesso l’ombra è personificata da un personaggio all’interno della storia: può essere una strega malvagia come ne Il mago di Oz, un mago tradito e vendicativo come Lord Voldemort, un carismatico e lunatico personaggio come il Jocker in Batman.
Le ombre, chiaramente, possono essere anche interiori: si pensi al personaggio di Fight Club che combatte contro se stesso e le proprie nevrosi. Dato il loro ruolo di ostacolare l’eroe, le ombre ricoprono spesso anche la funzione di shapeshifter: la strega di Biancaneve è la regina cattiva trasformatasi in anziana megera per avvelenare la principessa.
Le ombre sono essenziali nella narrazione poiché senza di esse, non ci sarebbe una storia da raccontare. Le ombre sono il conflitto davanti al quale il protagonista è posto. Un’ombra è un rivale da contrastare e da sconfiggere e che riesce a tirare fuori il meglio o il peggio dell’eroe. L’ombra è una forza da controllare, da domare e l’eroe deve combatterla con la sua stessa energia.
Gli eroi, talvolta, possono rivelare dei lati oscuri. Quando sono in preda a pensieri negativi, come sensi di colpa, pensieri ostili e biechi istinti, tendono a comportarsi in maniera autodistruttiva. I dubbi possono attanagliare il personaggio principale e possono condurlo all’apatia, possono privarlo della capacità di agire. La funzione dell’ombra può essere ricoperta da qualunque tipo di archetipo. Ne Il silenzio degli innocenti, Hannibal Lecter è sia ombra, in quanto proiezione del male umano, sia utile mentore. Esistono infine, delle ombre che diventano buone e si riscattano da una vita di malvagità: è il caso della Bestia in La Bella e la Bestia.
È opportuno, come per l’eroe, non far sbilanciare l’ombra solo dalla parte della malvagità. È bene che vi siano alcuni aspetti buoni anche nei cattivi, per renderli più autentici ed umani. Cersei Lannister, della saga delle Cronache del ghiaccio e del fuoco, è una regina crudele, spietata, egoista e subdola, tuttavia, nutre amore incondizionato verso i figli, sua unica debolezza che la rende vulnerabile.
Il trickster
Il trickster incarna lo spirito folkloristico del buffone e del giullare. È una figura assurda, talvolta grottesca, con il compito di smorzare i toni quando diventano troppo seri e riporta l’eroe o l’ombra con i piedi per terra. I trickster sono personaggi comici, utili quando la tensione si fa troppo intensa e occorre un intermezzo più piacevole e rilassato. Di solito, sono figure positive che lavorano a fianco dell’eroe, o negative se lavorano per l’ombra. Possono anche essere neutrali e operare per conto proprio.
I cartoni animati offrono il campionario più ampio dei trickster specialmente unendo i due archetipi, dell’eroe e del trickster, all’interno dello stesso personaggio protagonista. Ne sono esempi Bugs Bunny, Titti, Speedy Gonzales, il topolino Jerry e gli Animaniacs.
Perché servirsi degli archetipi
In ogni archetipo dovrebbero esserci tracce e aspetti di tutti gli archetipi. Un mentore, ad esempio, può in certe situazioni assumere le caratteristiche dell’eroe, un eroe può comportarsi da ombra e così via. I personaggi ben riusciti sono quelli che incarnano dentro loro stessi più archetipi. Questo li rende autentici.
Servirsi degli archetipi per delineare i personaggi delle nostre narrazioni è funzionale. Attenzione a non scadere nello stereotipo, che, contrariamente all'archetipo, descrive un modello rigido fatto di luoghi comuni, cliché che rendono tutto molto poco caratterizzato. Gli stereotipi indeboliscono la scrittura e fanno risultare piatti sia le situazioni sia i personaggi.
Quindi, è giusto servirsi delle figure archetipiche così da creare una narrazione riconoscibile e che funziona. Al tempo stesso, dotiamo i nostri personaggi di caratteristiche, predisposizioni e attitudini uniche.