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Maschile sovraesteso e modalità di scrittura inclusiva
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- Eleonora Simeone
La lingua italiana è discriminatoria?
L’italiano è una lingua sessista? In teoria no, ma l’uso che ne facciamo può esserlo, perché la lingua la fa chi la usa. In italiano, come accade in altre lingue, abbiamo la distinzione di genere tra nomi e pronomi maschili e femminili. Ma non solo: si distinguono anche gli articoli femminili e maschili, le desinenze maschili e femminili degli aggettivi e dei verbi ausiliari e participi. Quindi, è vero che l’italiano tende a rappresentare la realtà in termini binari di maschile e femminile, ma ciò non basta a renderla una lingua discriminatoria. Sono le scelte che adottano le persone che comunicano in una certa lingua a renderla più o meno discriminatoria verso alcune categorie. Compiere determinate scelte linguistiche ha necessariamente delle ripercussioni sul messaggio che comunichiamo.
La linguista Manuela Manero, nel saggio La lingua che cambia, afferma che: le parole hanno un peso e una consistenza; si trasformano nel corso del tempo, in alcuni casi scompaiono lasciando dei residui, in altri si rinnovano nella forma e/o nel significato […] Una volta messe in circolo, le parole modificano il contesto producendo effetti anche duraturi.
E ancora: il nostro stesso contatto con la realtà fuori e dentro di noi è mediato da concetti formalizzati attraverso le parole.
È impossibile separare la lingua dalla cultura del popolo che la utilizza. Per questo motivo, laddove ci rendiamo conto di un uso scorretto e non inclusivo, possiamo adottare delle soluzioni più adeguate che rendano giustizia a chi subisce discriminazione. Le parole non servono solo a descrivere la realtà che ci circonda ma servono anche a formare l’identità collettiva: infatti, le parole veicolano idee, opinioni e abitudini di una certa comunità di persone e sono fondamentali per dare avvio a un cambiamento, in quanto sono il mezzo che abbiamo per comunicare.
Perché il maschile sovraesteso non è inclusivo
Uno dei casi più comuni dell’uso non inclusivo della lingua italiana è il maschile sovraesteso. Cosa si intende con questa espressione? Se dico ciao a tutti a chi mi riferisco? Stando agli usi della lingua italiana mi riferisco sia a soggetti di genere maschile sia a quelli di genere femminile.
Se dico i dottori mi sto riferendo sia ai dottori di sesso maschile sia alle dottoresse, eppure, nonostante la disponibilità di termini da utilizzare, perché usarne uno solo maschile per includerne anche un altro femminile? Infatti non è mai frequente il contrario, non è mai il femminile a essere sovraesteso: se dico ciao a tutte, significa che mi sto rivolgendo a persone solo di genere femminile.
Si dà in un certo senso per scontato che dentro a espressioni di genere maschile siano incluse anche le donne. Ma non è così. Se dico uno scienziato è vero che sto sottintendendo sia uno scienziato di sesso maschile sia una scienziata. Ma nel mio immaginario se sento sempre e solo uno scienziato, il posto per una scienziata donna non ci sarà mai. Nominare sempre tutto solo al maschile attribuisce un vantaggio a quel genere in termini di visibilità e opportunità.
L’utilizzo del maschile sovraesteso porta con sé conseguenze che fatichiamo anche a individuare, tanto è radicato e frequente. Per esempio, è sempre acceso il dibattito relativo ai femminili di professione: se una donna dichiara di volersi far appellare direttore e non direttrice, c’è da domandarsi perché ritenga svilente la naturale declinazione al femminile del nome.
La norma italiana prevede la declinazione dei nomi di professione al femminile. E nonostante lo preveda la stessa norma linguistica, le persone che parlano, che scrivono, che comunicano in italiano fanno ancora fatica a adottare alcuni termini. Avvocata, ingegnera, ministra, assessora sono parole lecite. Ci appaiono cacofoniche solo perché non le abbiamo mai usate prima di ora con questa frequenza, dal momento che certe cariche venivano ricoperte soltanto da uomini. La situazione sta cambiando e il cambiamento avviene anche grazie a chi sceglie con volontà e consapevolezza di usare i termini giusti e appropriati.
Se non includiamo mai altre categorie oltre a quella maschile, tutte le altre categorie saranno sempre escluse da qualsiasi tipo di dibattito. Ecco perché si stanno facendo strada, con non poca difficoltà, delle alternative per riferirsi a gruppi misti e non solo.
Alternative al maschile sovraesteso e modalità di scrittura inclusiva
In italiano, lo spazio linguistico è a predominanza maschile. Il genere maschile viene usato come neutro, generico, universale, cioè in modo sovraesteso per includere anche tutti gli altri generi e soggettività. E se in inglese questa distinzione non sussiste, in italiano è difficile pensare in modo neutro, staccato dal binarismo maschile-femminile. Difficile ma non impossibile, o meglio, esistono delle alternative per includere tutte le altre soggettività femminili, trans, queer, non binarie.
Si tratta non di escludere il maschile, bensì di poter descrivere una realtà molto più complessa di come viene rappresentata adottando strategie specifiche al contesto.
Le modalità di scrittura più inclusiva per rivolgersi a una moltitudine mista sono molteplici:
- Possiamo volgere i nomi al maschile sovraesteso a espressioni più generiche o alla forma passiva o impersonale. La frase i candidati devono presentare la domanda entro domani può diventare: chi si candida deve presentare la domanda entro domani oppure la domanda deve essere presentata entro domani.
- Possiamo raddoppiare i nomi, volgendoli sia al maschile sia al femminile. Come nell’esempio riportato sopra se voglio parlare di medici sia uomini che donne possono indicare i dottori e le dottoresse.
- Possiamo adottare soluzioni grafiche o simboli. Sempre più spesso possiamo riscontrare numerose strategie di inclusione nella scrittura: al posto del maschile sovraesteso tutti possiamo trovare tutt, tutty, tuttu, tutt@, tuttx, tutti/e, tutt*, tuttз.
Per rivolgerci a una o più persone di cui non conosciamo il genere o non binarie o gruppi misti è consigliabile usare nomi neutri o collettivi. Per esempio, possiamo usare persona al posto di ragazzo o ragazza, oppure gruppo di persone, le persone dello staff, la compagnia, le persone del gruppo, le persone presenti nell’aula, o specificare almeno entrambi i generi come gli studenti e le studentesse, i ricercatori e le ricercatrici dell’équipe, il gruppo di amici e amiche. Se conosciamo le identità di genere delle persone facenti parti di un gruppo allora possiamo stare sul generico persona, oppure, come sopra indicato, invece che dire ti sei divertito? possiamo volgere la frase in modo impersonale: è stato divertente?
Ma le soluzioni sono ancora più numerose e sono sempre in fase di sperimentazione.
Lo schwa che cos’è e come si usa
Tra le soluzioni grafiche per avviare una scrittura più consapevole e inclusiva, di particolare interesse è il caso dello schwa e la sociolinguista Vera Gheno ne parla in modo completo ed esaustivo.
Lo schwa, indicato ə, è un simbolo dell’alfabeto fonetico internazionale (International Phonetic Alphabet, IPA). Graficamente è simile a una e rovesciata, dal punto di vista fonetico indica una vocale media la cui pronuncia si avvicina al suono emesso quando vogliamo pronunciare una vocale senza sforzare le labbra, cioè a riposo. Per esempio, se pronunciamo “tutt” emettiamo un suono finale simile a eh, lo schwa, appunto, diverso dalle altre nostre vocali a, e, i, o, u.
Visto che corrisponde a un suono intermedio, il suo uso è stato esteso a vocale per indicare un gruppo misto di persone, una persona di cui non si conosce il genere o ancora una persona non binaria:
- Ciao a tuttə.
- Qualcunə mi riassume cosa hanno detto?
- Ti sei divertitə?
È possibile anche la forma al plurale dello schwa, tramite il simbolo з: siete in moltз ragazzз.
Dal momento che lo schwa è sempre in fase di sperimentazione linguistica e che le regole in una lingua vengono desunte dall’uso (e non viceversa), è naturale che non vi sia ancora una sistematicità univoca. Ma Vera Gheno prende in considerazione i seguenti aspetti per poter sperimentare al meglio con lo schwa:
- Al singolare si usa l’articolo lə: sei lə benvenutə; mentre al plurale possiamo usare ə oppure lo schwa lungo з: siete ə benevenutə, siete з benvenutз.
- I pronomi lei e lui diventano ləi.
- Nei nomi in -tore, -sore, lo schwa si attacca alla radice della parola: attorə, assessorə.
- Nei nomi ambigeneri (in cui il maschile non differisce dal femminile) si cambia solo l’articolo: lə giudicə, lə pediatrə.
- Le preposizioni articolate diventano nellə, dellə, allə per il singolare e nə, deə, aə per il plurale.
Problemi del simbolo schwa e soluzioni
Le polemiche mosse allo schwa sono di diversa natura, proviamo a confutare le critiche più frequenti:
- Lo schwa non è presente sulle tastiere. Spesso, viene citata in giudizio la scomodità dell’uso del segno grafico. È vero che sulle tastiere automatiche non è presente, ma chi possiede un dispositivo iOS o Android trova facilmente la soluzione tenendo premuto il tasto della lettera “e”: tra le opzioni suggerite adesso è presente anche lo schwa.
- Lo schwa è brutto a vedersi. Questione di abitudine, nessun grafema (cioè lettera) è bello di per sé: semplicemente non è nostra abitudine usare lo schwa. Poiché la scrittura è in grado di incidere sui cambiamenti anche nella società, i cambiamenti all’interno del sistema scritto possono risultare determinanti anche all’infuori del sistema stesso. Un’espressione come sei lə benvenutə! può risultare esteticamente insolita, ma più la usiamo e meno la percepiremo tale. Poi, ovvio, niente è imposto in corso di sperimentazione: si tratta di trovare la soluzione migliore, che sia la più usabile possibile. Se a poco a poco introduciamo termini che adesso percepiamo come inusuali e talvolta cacofonici e con il tempo li consolidiamo nella lingua, non saranno più percepiti come strani.
- Lo schwa crea problemi alle persone non vedenti, ipovedenti, dislessiche e anziane. È vero. Un aspetto da prendere in considerazione è l’usabilità del simbolo schwa. Nei programmi di audio lettura e sintesi vocale non sono ancora correttamente compresi e di conseguenza riprodotti. Il problema alla base di questo sta nel fatto che lo schwa è un simbolo pensato appunto per la scrittura, non per il parlato. Sollevando la questione, verrà presto trovata una soluzione. Domandarsi se qualcosa è inclusivo e prestare attenzione alle richieste di chi utilizza i dispositivi mette nella condizione chi sviluppa di trovare soluzioni sempre migliori, che risultano adatte a tutte le persone.
Verso una maggiore inclusione
Per concludere, non è detto che lo schwa sia necessariamente la soluzione migliore e le nuove proposte all’interno della lingua italiana sono in continua sperimentazione. Soltanto un uso prolungato di tali meccanismi può fare la differenza. La lingua italiana, come anche le altre lingue, è in costante evoluzione. È caratteristica intrinseca delle lingue, solo che non ce ne rendiamo conto perché viviamo questi cambiamenti ogni giorno.
Possiamo iniziare a farlo da subito, capiterà sempre di sbagliare: la differenza sta nel fatto di averne consapevolezza e di essere al corrente che quello che facciamo lo facciamo per un motivo e con uno scopo ben preciso e non soltanto perché si è sempre fatto così.
E se le prime volte saranno difficili, quelle successive lo saranno sempre meno fino a quando avremo appreso un modo di comunicare decisamente più inclusivo.
I cambiamenti importanti a livello sociale avvengono anche attraverso la lingua e la scrittura: provare a essere persone consapevoli e più inclusive è uno sforzo minimo che possiamo fare.
Per approfondire consiglio i seguenti testi:
- Vera Gheno, Femminili singolari, effequ 2022.
- Manuela Manera, La lingua che cambia, Eris 2021.